Prime prassi applicative della legge 149/2001 nei Tribunali per i Minorenni

Relazione svolta nell’ambito del Seminario di Studio

“La Legge 149/01 – Una riforma per omissione”

A.I.A.F. Puglia e Camera Minorile di Lecce

Brindisi – Cittadella della Ricerca 30-31 gennaio 2009

Prime prassi applicative della legge 149/2001  nei Tribunali per i Minorenni

Introduzione

La presente relazione si propone di fornire un quadro delle prassi applicative della legge 149/01 dinanzi ai Tribunali per i Minorenni. Tuttavia, mi sia consentito cogliere l’invito al dibattito, formulato dagli illustri relatori che mi hanno preceduta, esprimendo alcune riflessioni che sono il frutto di un approfondimento svolto dalla Camera Minorile di Lecce, nell’ambito del gruppo di studio in materia civile, per molti versi condivise anche a livello nazionale, nell’ambito dell’Unione Camere Minorili.

La legge 28/03/2001 n. 149, intitolata “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante”Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”, ha introdotto una profonda innovazione della normativa in tema di affidamento e adozione dei minori sia sul piano sostanziale che sul piano processuale.

È interessante notare che la legge ha, in primis, modificato il titolo della legge 184/83, trasformandolo in “Diritto del minore ad una famiglia”. Il cambiamento, lungi dall’essere puramente terminologico, determina il definitivo superamento dell’annoso dibattito in ordine alla qualificazione della posizione giuridica del minore come mero interesse ovvero diritto soggettivo pieno, facendoci comprendere che il minore è senza dubbio portatore di veri e propri diritti.

In tal modo, la legislazione italiana si è allineata alla normativa internazionale, ed in particolare alla Convenzione di New York del 1989, la quale attribuisce al minore, oltre ai “diritti comuni alle altre persone”, anche i “diritti propri e specifici della persona in età evolutiva” come ad esempio quelli al gioco (art. 31) e all’educazione (art. 29).

Ma la novella ha determinato importanti modifiche anche sul piano processuale, introducendo il principio del contraddittorio nei procedimenti civili di adottabilità e de potestate e riconoscendo al minore la posizione di parte processuale, nell’ambito degli stessi.

La legge 149/01 si inscrive, infatti, in un quadro normativo che prende le mosse dalla riforma costituzionale del 1999, con cui il legislatore ha voluto dare più incisivo riconoscimento al principio del giusto processo e quindi garantire ad ogni cittadino che il giudizio si svolga “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale” (art. 111 Cost. c. 2 come novellato dalla L. cost. 23/11/99 n. 2). La ratio della norma in esame era dunque quella di arginare la deriva inquisitoria dei giudizi minorili, nei quali, in nome della tutela del minore e della speditezza del procedimento, molto spesso risultava offuscato il diritto di difesa delle parti. E che questo fosse l’intento del legislatore del 2001 si evince chiaramente dalla relazione governativa al D.L. 150/01 (quello contenente la prima proroga dell’entrata in vigore della L. 149/01), che fa esplicito riferimento alla “necessità di assicurare la effettività della difesa tecnica sia nei confronti dei genitori che dei minori”.

In quest’ottica, tuttavia, pare che il minore riceva una “tutela per caso”, essendo probabilmente l’obiettivo del legislatore,  anche sull’onda delle forti spinte provenienti dall’opinione pubblica, quello di salvaguardare piuttosto gli adulti coinvolti nei giudizi minorili.

Come che sia, alla luce delle novità introdotte dalla legge in commento, non si può negare che il minore debba essere considerato a tutti gli effetti parte del procedimento.

Ed invero, una interpretazione in tal senso è fornita dalla stessa Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 1 del 30/12/02, secondo la quale dalla legge n. 149/01 “chiaramente si evince l’attribuzione al minore (nonché ai genitori) della qualità di parte con tutte le conseguenti implicazioni”.

Anche sotto questo profilo, la modifica legislativa pone in linea la normativa nazionale con quella internazionale, non soltanto con la già citata Convenzione di New York, che all’art. 12, sancisce il diritto del fanciullo ad esprimere la propria opinione su ogni questione che lo interessa, in considerazione della sua età e del suo grado di maturità, e “la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato”, ma anche con la Convenzione di Strasburgo del 25/01/96, ratificata in Italia con L. 77/2003, che mira a promuovere la concessione di diritti processuali in favore dei minori “affinché possano personalmente o per il tramite di altre persone o organi, essere informati ed autorizzati a partecipare ai procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria” (art. 1).

Vediamo in concreto quali sono le più importanti novità processuali introdotte dalla L. 149/01.

Per quanto attiene i procedimenti de potestate la norma introduce, all’art. 336 Cod. Civ., il comma 4, che recita “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”; nella formulazione originaria, la norma proseguiva con la precisazione “anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge” ma l’inciso è stato abrogato ad opera del D.P.R. 30/05/02 n. 115, c.d. Testo Unico sulle spese di giustizia. L’abrogazione non può tuttavia essere interpretata come volontà del legislatore di affievolire la portata innovativa dell’art. 336 c. 4 nella parte in cui introduce il principio del diritto di difesa in questi procedimenti, poiché risponde esclusivamente all’esigenza di eliminare tutte le norme incompatibili o rese non più necessarie dalla disciplina del Testo Unico; l’inciso risultava infatti ultroneo alla luce della previsione generalizzata che assicura il patrocinio a spese dello Stato (art. 74 c. 2 del T.U.).

Per quanto concerne i procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, la legge in commento modifica l’art. 8 c. 4 della L. 184/83 introducendo l’inciso: “il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti di cui al comma 2 dell’articolo 10”.

Tuttavia, il successivo articolo 10 prevede che ai genitori ed ai parenti debba essere nominato undifensore d’ufficio, ma non contiene alcuna previsione in ordine alla enunciata assistenza legale del minore; solo i successivi articoli 15 e 16 fanno un fugace riferimento al tutore ovvero al curatore speciale del minore, cui si prevede che “ove esistano” vada notificata la sentenza che dichiara lo stato di adottabilità.

Entrambe le disposizioni richiamate, dunque, pur introducendo in linea di principio la necessità della assistenza/difesa del minore, non chiariscono in che modo essa vada assicurata.

Orbene, l’entrata in vigore delle disposizioni processuali della L. 149/01 è stata prorogata di anno in anno, per ben sei volte, non già perché il legislatore si fosse accorto delle evidenti lacune del testo normativo, ma per le ragioni che sono chiarite nella già citata relazione governativa al D.L. 150/01; si riteneva, infatti, necessario emanare una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità (si legge, infatti, nella relazione che la L. 149/01, “non contiene alcuna previsione in ordine alla modalità per la nomina del difensore d’ufficio in favore dei genitori e del minore […]  né in ordine al carico delle relative spese processuali eventualmente a carico dello Stato”) ed in generale, una normativa più dettagliata sui procedimenti minorili (“Per quanto attiene il procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 336 cpc, la previsione della difesa tecnica contenuta nella legge di riforma necessita di una revisione del procedimento che si svolge dinanzi al Tribunale per i Minorenni nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio e cioè secondo forme procedurali che necessitano di una revisione, anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost. È  quindi necessario regolare le modalità e i tempi attraverso i quali deve svolgersi l’attività difensiva”).

Tuttavia, pur in assenza delle auspicate riforme, la L. 149/01 è entrata pienamente in vigore a far data dal 01/07/07, lasciando gli interpreti di fronte a numerosi problemi applicativi dovuti da un canto alle evidenti lacune normative dall’altro ad un testo di riforma talvolta impreciso e contraddittorio.

In mancanza di elementi normativi chiari, ogni Tribunale per i Minorenni ha dovuto interpretare la legge, dando così luogo a prassi attuative alquanto disparate sul territorio nazionale e talvolta discutibili.

Tali prassi sono state oggetto di una prima rilevazione, svolta dall’Unione Nazionale  delle Camere Minorili, a distanza di un anno dall’entrata in vigore della legge.

È stato elaborato un questionario rivolto a 17 Tribunali per i Minorenni sparsi sul territorio nazionale, al fine di individuare le modalità applicative seguite da ciascuno di essi; al termine dell’indagine, che naturalmente ha carattere parziale e non definitivo, è stato elaborato un documento pubblicato sulla rivista on line Minori e Giustizia e sulla rivista Famiglia e Minori del Sole 24 Ore n. 9/2008.

 

Le prassi applicative riguardanti gli adulti.

Procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità.

Per quanto concerne i procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, l’unico punto fermo concerne la necessità di nominare un difensore d’ufficio ai genitori ed agli altri parenti indicati dall’art. 10.

Ma come viene scelto tale difensore? In alcuni (pochi) distretti, gli ordini forensi hanno provveduto alla costituzione di elenchi di avvocati, cui  i Tribunali per i Minorenni possano attingere per la nomina (Ancona, Milano, Palermo, Torino). Altri ordini non si sono ancora mossi in tal senso, ritenendo che non sussista la loro competenza: ed invero, per quanto attiene ai difensori d’ufficio per il settore penale minorile, la competenza degli ordini forensi a tenere ed aggiornare gli albi è espressamente prevista dall’art. 11 del DPR 448/88; la mancanza di una analoga previsione in materia civile impedirebbe, quindi, di provvedere analogamente, atteso che la formazione di un elenco cozzerebbe contro il principio di libertà nell’esercizio della professione legale.

L’obiezione è stata superata da alcuni ordini, ritenendo che gli elenchi da essi formati non costituiscano un albo vincolante per i magistrati, ma esclusivamente un punto di riferimento per individuare professionisti con una adeguata specializzazione: gli avvocati sono stati quindi invitati a segnalare la propria disponibilità ad assumere l’incarico di difensore d’ufficio (ovvero di curatore del minore), evidenziando il possesso di alcuni requisiti, quali corsi di formazione ed esperienza professionale di una certa durata; generalmente si è richiesta anche l’iscrizione negli elenchi dei difensori abilitati al patrocinio a spese dello Stato.

Un ulteriore problema attuativo concerne la questione del conferimento del mandato professionale.

Ove i genitori del minore non vengano a conoscenza della nomina di un difensore d’ufficio (ad esempio perché irreperibili) ovvero, pur venendone a conoscenza, non prendano contatti con il difensore e non provvedano a conferirgli un mandato, l’avvocato si troverà praticamente impossibilitato ad adempiere al suo compito professionale.

Il conferimento della procura appare, invero, un presupposto ineludibile per l’instaurarsi del rapporto tra cliente e difensore, considerato che, al contrario di ciò che avviene nel processo penale, la strategia difensiva da assumere nel giudizio non può ritenersi implicita nella nomina officiosa. Sicché, in difetto di procura, il difensore non potrà far altro che comparire in udienza, rappresentando la propria impossibilità di adempiere all’incarico ricevuto.

Una parte della avvocatura riteneva opportuno chiedere la dichiarazione di contumacia del proprio assistito, ma è prassi assolutamente uniforme, in tutti i Tribunali per i Minorenni, non procedere a tale dichiarazione di contumacia, atteso che l’istituto è ritenuto incompatibile con il rito camerale.

 

Procedimenti de potestate

Per quanto attiene ai procedimenti de potestate, come già visto, il comma 4 dell’art. 336 c.c non prevede la nomina di un difensore d’ufficio dei genitori; alla luce del noto criterio interpretativo secondo cui ubi lex voluit dixit, la maggior parte dei Tribunali si è orientata nel senso di non procedere a tale designazione, ma semplicemente di avvisare le parti della facoltà di nominare un proprio difensore e della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato. Non mancano, tuttavia, prassi difformi, considerato che in alcuni distretti (es. Bologna, Catania, Salerno, Venezia) il Tribunale nomina un difensore d’ufficio, avvertendo comunque le parti della facoltà di nominarne uno di fiducia.

Resta da chiarire se, nelle ipotesi di mancata nomina di un difensore (sia d’ufficio che di fiducia) possa essere consentito ai genitori partecipare al giudizio, ovvero se la difesa tecnica delle parti debba essere considerata necessaria.

La questione non è stata oggetto della rilevazione delle prassi, ma se ne è discusso a margine del convegno dell’AIMMF svoltosi a Paestum il 29-30/11 – 1/12/2007, quando è stato presentato un documento redatto dal gruppo di studio sulla 149/01 (pubblicato sul sitowww.minoriefamiglia.it). Nel documento si affermava che i genitori non possano partecipare al procedimento ex art. 336 c.c. senza un difensore e che un eventuale ricorso presentato dalla parte personalmente debba essere dichiarato inammissibile.

La conclusione mi pare assolutamente condivisibile, alla luce delle considerazioni che seguono.
Il comma 4 dell’art. 336 c.c. recita “i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”. Orbene, secondo un canone esegetico unanimemente condiviso, l’uso dell’indicativo presente in un testo normativo rende un determinato precetto come obbligatorio. Il predicato “sono” ci fa comprendere dunque che il legislatore intendeva sancire, per l’appunto, la necessità delle parti di ricorrere alla difesa tecnica al fine di partecipare al procedimento ex art. 336 c.c.

Concorre a sostenere tale interpretazione un ulteriore criterio, che impone di attribuire alla norma il significato che la renda utile: ove la norma in commento dovesse essere letta nel senso di attribuire alle parti la mera facoltà (e non la necessità) di nominare un proprio difensore,  essa risulterebbe del tutto inutile ed ultronea, posto che, anche prima della novella del 2001, nessuno dubitava della possibilità delle parti di costituirsi nei procedimenti de potestate attraverso un difensore legalmente esercente.

E, per altro verso, tale interpretazione appare anche quella più soddisfacente sotto il profilo teleologico, inscrivendosi in quel contesto di riforme, anche di rango costituzionale, che mirava ad ampliare i principi del diritto di difesa e del contraddittorio, estendendoli, attraverso la novella introdotta dalla L. 149/2001, ai procedimenti minorili. Tale finalità è resa manifesta nella relazione governativa al D.L. 150/01, dove si legge che “Per quanto attiene il procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 336 cpc, la previsione della difesa tecnica contenuta nella legge di riforma necessita di una revisione del procedimento che si svolge dinanzi al Tribunale per i Minorenni nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio e cioè secondo forme procedurali che necessitano di una revisione, anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost.”; sicché, pur invocando una disciplina più dettagliata del procedimento minorile, il legislatore enuncia intanto, fuori da ogni possibile fraintendimento, di aver introdotto nella legge 149/01, “la previsione della difesa tecnica”.

Occorre ancora fare una ulteriore considerazione. È noto che la parte, escluse le ipotesi eccezionali in cui sia autorizzata a stare in giudizio personalmente, debba stare in giudizio “col ministero o con l’assistenza di un difensore” (art. 82 cpc) essendo altrimenti sprovvista dello ius postulandi;  sicché, qualunque atto privo della sottoscrizione del procuratore ad litem risulterebbe affetto da nullità, così come sarebbe dichiarata irricevibile qualsiasi istanza, anche verbale, rivolta all’autorità giudiziaria direttamente dalla parte.

Per le medesime ragioni, ritengo, altresì, che il giudice minorile non possa procedere neppure semplicemente all’ascolto delle parti in difetto dell’assistenza di un difensore.
Se si considera che l’ascolto della parte costituisce, in realtà, il momento più saliente del procedimento, nell’ambito del quale essa è chiamata ad esporre la propria rappresentazione dei fatti ed, in molti casi, anche ad esprimere le proprie istanze all’autorità giudiziaria, si comprende come, anche e soprattutto in questo delicato momento, occorra assicurare alla parte l’assistenza del difensore, al fine di garantirle la più corretta prospettazione in termini giuridici delle proprie ragioni e richieste e la migliore cognizione ad opera del giudice.

Ritenere che le parti possano essere ascoltate dinanzi al Tribunale per i Minorenni senza l’assistenza di un difensore pare contraddire e vanificare lo spirito della novella, volto ad estendere ai procedimenti in parola le garanzie costituzionali.

 

Le prassi applicative relative ai minori.

Procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità.
Per ciò che concerne la partecipazione del minore al giudizio per la dichiarazione dello Stato di adottabilità, la rilevazione delle prassi svolta dall’Unione Camere Minorili si è attestata, in primo luogo, sulla scelta fra la nomina di un difensore d’ufficio ovvero di un curatore.

Anche in tal caso, la prassi assolutamente prevalente è quella della nomina di un curatore speciale, data la mancata previsione legislativa della figura del difensore d’ufficio in favore del soggetto minorenne, con la sola eccezione dei Tribunali di Ancona e Salerno.

La nomina del curatore speciale non pare invece possa essere messa in discussione, considerata l’evidente sussistenza di un conflitto di interessi fra i minore ed i genitori.

L’unico dubbio riguarda, tuttavia, l’esistenza di un tutore già nominato e quindi la possibile sovrapposizione fra le due figure.

Orbene, sul punto le prassi attuative sono meno nette: 5 Tribunali su 17 ritengono  che la figura del tutore renda ultronea la nomina di un curatore, mentre gli altri considerano come ipotesi normale la compresenza di entrambe le figure, prevedendo, di volta in volta, un rapporto di autonomia ovvero di collaborazione fra le  stesse.

La prassi più corretta mi sembra tuttavia quella minoritaria: occorre considerare, a riguardo, che a mente dell’art. 343 c.c. il tutore esercita la potestà  in luogo dei genitori; secondo la previsione più dettagliata dell’art. 357 c.c., “il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni”. Egli ha dunque la rappresentanza generale del minore, anche con riferimento alla eventuale partecipazione ad un giudizio (fatta salva l’autorizzazione del Giudice Tutelare, ove prevista ex art. 374 c.c.), sicché sarà il tutore, di regola, a dover valutare l’opportunità di una costituzione nel procedimento di adottabilità, e, in caso affermativo, a dover provvedere alla nomina di un difensore.

La nomina di un curatore del minore rimarrà possibile solo nei casi in cui sia ravvisabile un conflitto di interessi fra il tutore ed il minore, conflitto ipotizzabile ad esempio nei casi in cui il tutore sia onerato anche del mantenimento del minore (potendo avere un interesse a che il minore vada in adozione per sottrarsi al proprio obbligo alimentare).

Non pare viepiù condivisibile la prassi del Tribunale di Milano, di procedere alla nomina di un curatore speciale tutte le volte in cui il tutore non provveda alla nomina di un difensore, quasi che la costituzione in giudizio del minore sia imprescindibile. Ritengo, invece, che rientri tra i poteri del tutore quello di valutare con serenità se sia il caso di costituirsi ovvero di non partecipare al giudizio, ove tale ultima soluzione possa risultare più rispondente all’interesse del minore.

 

Giungendo infine

Procedimenti de potestate

Con riferimento alla previsione dell’art. 336 c. 4 c.c., sorge, in primo luogo, un interrogativo concernente la sfera di applicabilità della norma. Essa fa riferimento ai “provvedimenti indicati negli articoli precedenti” e non è chiaro se intenda riferirsi esclusivamente a quelli di limitazione o decadenza della potestà genitoriale ovvero anche ai procedimenti ex art. 316 e 317 bis.

Anche questa questione è stata affrontata nell’ambito del gruppo di studio dell’AIMMF, le cui conclusioni, presentate nel convegno di Paestum, erano nel senso di ritenere applicabile il comma 4 anche ai procedimenti ex art. 317 bis, escludendo tuttavia la nomina del curatore speciale del minore, per analogia con quanto avviene nelle procedure aventi per oggetto la separazione delle coppie coniugate (in ossequio a quell’orientamento della Corte Costituzionale secondo cui il minore non è parte nei procedimenti che riguardano la separazione della coppia genitoriale: C. Cost. 14/07/1986 n.185).

De iure condendo, si potrebbe utilizzare l’argomento della analogia (e del dovere di non disciplinare in maniera differente situazioni giuridiche analoghe) in senso contrario; vale a dire, considerato che un’attenta interpretazione del novellato art. 336, letto anche alla luce della Convenzione di Strasburgo, induce a ritenere possibile (ed anzi doverosa) la nomina del curatore speciale anche nei procedimenti ex art. 316 e 317 bis riguardanti la separazione della coppia non coniugata, il rispetto dell’art. 3 Cost. imporrebbe di estendere la previsione ai giudizi aventi per oggetto la separazione della coppia coniugata. Si giungerebbe, per detta via, al superamento dell’orientamento espresso dalla citata sentenza n.185/86 C.Cost. la quale, peraltro, è stata oggetto di numerosi commenti in senso negativo da parte di autorevole dottrina.

È vero, infatti, che in moltissimi giudizi concernenti la separazione dei genitori, la nomina di un curatore speciale del minore appare più che opportuna, allorquando, per l’elevata conflittualità ed il rischio di strumentalizzazioni da parte dei coniugi, ricorrano gli estremi del conflitto di interessi.

Un ulteriore dubbio interpretativo riguarda il come venga assicurata l’assistenza del minore prevista  dal comma 4 dell’art. 336.

La ricerca sulle prassi dell’Unione Camere Minorili si è dunque interrogata sull’alternativa fra la nomina di un curatore ovvero di un avvocato del minore; analogamente a quanto accade per i procedimenti di adottabilità, la maggioranza dei Tribunali opta per la nomina di un curatore speciale, anche se non mancano le sedi (ad es. Salerno e Venezia) in cui si procede alla nomina di un avvocato del minore; tale nomina viene fatta, in prevalenza, d’ufficio, ma in alcuni Tribunali (Bologna, Cagliari, Catania, Salerno) si ritiene imprescindibile l’istanza di parte o del P.M. ai sensi dell’art. 78 c.p.c.

La nomina del curatore speciale non avviene sempre, ma solo in caso di conflitto di interessi che, nella maggior parte dei Tribunali, non è ritenuto sussistente in re ipsa ma viene valutato caso per caso (fanno eccezione il Tribunale di Ancona, di Bari e di Potenza, che, ritenendo sempre sussistente il conflitto di interessi, procedono in ogni caso alla nomina di un curatore speciale del minore).

Sotto questo profilo, mi sia consentito esporre la posizione della Camera Minorile di Lecce, maturata nell’ambito del Gruppo di Studio civile (che, ad onor del vero, non è unanimemente condivisa in seno all’Unione Nazionale Camere Minorili).

Ci pare, infatti, che la nomina di un curatore speciale del minore sia da ritenersi imprescindibile quantomeno nei procedimenti ex art. 330 e 333 c.c. nei quali si discute della adeguatezza dei genitori ad assolvere ai propri doveri di cura ed educazione nei confronti dei figli e conseguentemente della eventuale limitazione o decadenza dalla potestà. In tali ipotesi, invero, il conflitto di interessi con i genitori deve ritenersi esistente in re ipsa.

Una parte della magistratura minorile e della stessa avvocatura, ritiene, a contrario, che in alcuni giudizi, ad esempio quelli in cui si discuta della capacità genitoriale di un solo genitore, ovvero quelli caratterizzati da scarsissima conflittualità fra le parti, almeno uno dei due genitori possa adeguatamente rappresentare gli interessi del fanciullo; sicché la nomina del curatore determinerebbe una maggiore farraginosità delle procedure a discapito della tempestività dell’intervento giurisdizionale.

Ma tale posizione sconta, a mio modesto avviso, un pregiudizio nei confronti dell’esercizio del diritto di difesa, da parte di un giudice, quello minorile, abituato a muoversi nel contesto di natura inquisitoria tipico del rito camerale.

A ben vedere, anche nei casi testé citati, non può negarsi la sussistenza di un conflitto di interessi fra rappresentato e rappresentante, quantomeno potenziale: si pensi, ad esempio, all’ipotesi di procedimento riguardante un solo genitore tossicodipendente, nel quale l’altro (non coinvolto nel procedimento, che quindi dovrebbe poter rappresentare gli interessi del figlio) tenda invece a coprire le mancanze del coniuge con un atteggiamento omertoso e corrivo; ovvero, al contrario, si pensi al caso in cui un genitore accusi falsamente l’altro di tenere comportamenti pregiudizievoli per il minore, al solo scopo di infliggere sofferenza a quest’ultimo e non curandosi dell’interesse del figlio.

In ipotesi di tal fatta, nessuno dei due genitori sarebbe in grado di tutelare adeguatamente l’interesse del minore. Ed il giudice non può stabilire a priori se ricorra un caso del genere.

A questo proposito, la Corte di Cassazione ha affermato in diverse pronunce che “è ravvisabile il conflitto di interessi, tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente e il suo rappresentante legale, ogni volta che l’incompatibilità delle rispettive loro posizioni è anche solo potenziale a prescindere dalla sua effettività” (Corte di Cassazione 16/09/02 n. 13507, ma anche in epoca più risalente Cass. Civ. 16/11/00 n. 14866 e 06/08/01 n. 10822).

Non si può quindi chiedere al giudice di valutare, caso per caso, se l’interesse del minore sia adeguatamente tutelato da uno o da entrambi i genitori, perché ciò si ridurrebbe, in buona sostanza, ad una anticipazione del giudizio. La verifica della sussistenza del conflitto va, quindi, compiuta in astratto ed ex ante, indipendentemente dagli atteggiamenti e/o dalle difese concretamente assunte dalle parti in giudizio. Conseguentemente non potrà negarsi la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi fra il minore ed i genitori, anche nelle ipotesi in cui il procedimento riguardi solo uno di essi, potendo, in astratto, anche l’altro assumere in giudizio una posizione contrastante con l’interesse del figlio.

Appare pertanto preferibile la nomina del curatore del minore in tutti i procedimenti ex art. 336 c.c., al momento dell’apertura del procedimento.

Curatore che poi, alla luce della conoscenza dei fatti nonché degli atti processuali, potrà anche ritenere che l’interesse del minore sia adeguatamente rappresentato da  una delle altre parti e quindi decidere di non costituirsi in giudizio, o di spiegare esclusivamente un intervento adesivo; ovvero, se del caso, formulare nell’interesse del minore richieste distinte da quelle di entrambi i genitori.

Questioni comuni

Ciò ci conduce ad esaminare un altro aspetto applicativo piuttosto problematico, che è quello dei criteri di scelta del curatore del minore. Ed infatti, questa soluzione presuppone l’esercizio della funzione del curatore in maniera responsabile e trasparente, ad opera di soggetti altamente qualificati, che siano in grado di discernere non solo l’interesse del minore astrattamente inteso, ma anche la concreta opinione dello stesso.

Orbene, sia per i procedimenti de potestate che per quelli di adottabilità, la prassi prevalente è quella di individuare il curatore fra gli avvocati  che abbiano esperienza nel settore del diritto minorile, ma ancora in pochissime sedi (Ancona, Milano, Palermo, Torino) sono stati predisposti albi specifici da parte degli Ordini forensi.

Si ritiene ammissibile che il curatore/avvocato possa costituirsi personalmente  secondo la previsione dell’art. 86 c.p.c.

Nella maggior parte dei Tribunali, il curatore non è retribuito; l’avvocato del minore (ovvero il curatore/avvocato che si costituisca personalmente) può ottenere una retribuzione ove sussistano i presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. È chiaro che, sussistendo un conflitto di interessi con i genitori, ai fini dell’ammissione al patrocinio dovrà tenersi conto del solo reddito proprio del minore (non anche di quello dei genitori); cosicché, salvo i rarissimi casi in cui il minore goda di redditi propri (es. rendite da fabbricati di proprietà), di regola ci si potrà giovare del patrocinio a spese dello Stato.

La prassi di scegliere un curatore fra gli avvocati esperti in diritto minorile non pare sempre condivisibile. Occorre, infatti, osservare che le competenze di natura giuridica possono non essere sufficienti, quantomeno tutte le volte in cui il minore non sia capace di formulare o addirittura di avere una propria opinione.

In fondo, il compito dell’avvocato non è quello di compiere le scelte esistenziali in favore del proprio rappresentato, ma quello di dare corso ad un mandato, secondo le decisioni della parte; nel caso in cui il minore non sia in grado di esprimere la propria volontà, il curatore/avvocato si vedrebbe investito di una responsabilità che esorbita dal proprio ambito professionale.
Peraltro, il curatore del minore dovrebbe essere messo in condizioni di esercitare il proprio ruolo in assenza di qualsivoglia condizionamento e di non avere alcun interesse personale a costituirsi in giudizio, cosa che si verificherebbe nelle ipotesi in cui l’unica possibilità di guadagno per il curatore/avvocato derivi dalla costituzione e dall’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Ad onor del vero, è la stessa Convenzione di Strasburgo ad avallare la figura del curatore/avvocato, laddove, all’art. 5 ed all’art. 9 contempla la nomina al fanciullo di “un rappresentante speciale, se del caso un avvocato”; ma proprio l’inciso “se del caso” fa comprendere che non si tratta di una scelta obbligata, ben potendo il Giudice ritenere che, in alcune circostanze, come ad esempio quando il minore non sia capace di discernimento, sia più opportuno affidare il ruolo di rappresentante ad un’altra figura professionale.

Avv. Rita Perchiazzi

Vicepresidente Camera Minorile di Lecce

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Avv. Rita Perchiazzi

Avv. Rita Perchiazzi

L'Avvocato Rita Perchiazzi è iscritta all'Albo dell'Ordine degli Avvocati di Lecce dal 23 luglio 1997,Ha studio in Lecce. Si è perfezionata in Diritto Minorile e si occupa prevalentemente di questioni concernenti le persone, la famiglia, la filiazione e l'adozione. Si occupa altresì di diritto del lavoro, con particolare riferimento alle problematiche del mobbing e della tutela antidiscriminatoria dei lavoratori e delle lavoratrici. Da aprile 2019 è Consigliera dell'Ordine degli Avvocati di Lecce. Nel Consiglio riveste il ruolo di coordinatrice dell'Osservatorio Famiglia e Minori, di componente della Commissione Patrocinio a spese dello Stato, dell'Osservatorio civile e di numerose altre commissioni. Da aprile 2016 ad aprile 2019 è stata Presidente dell'Unione Nazionale Camere Minorili, associazione maggiormente rappresentativa e specialistica di diritto minorile e di famiglia. E' stata a lungo Presidente della Camera Minorile di Lecce e continua tuttora a far parte del direttivo. Svolge frequentemente incarichi di curatore speciale del minore. E' iscritta negli elenchi dei difensori disponibili al patrocinio a spese dello Stato.

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